Pisanità
Istruzioni per l’uso a un concerto dei Gatti Mézzi
Primissima cosa da sapere, anche perché so già che ve lo state chiedendo:
i Gatti Mézzi non sono gatti a metà.
Perché quel mézzi è una parola pisana - si legge con
la e di pesce e la z di piazza – e significa sporchi, fradici. Già, perché se non siete mai stati a Pisa non sapete quanto
l’Arno renda fradicio un po’ tutto quello che tocca (muri, porte, biancheria
stesa al sole, sale e zucchero dentro i barattoli…), specialmente nei vicoli puzzolenti
del centro storico. E se non basta l’acqua verdastra del fiume, ci si mettono
le piogge torrenziali a fare il resto, da ottobre in poi.
Così i gatti
pisani diventano mézzi. Soprattutto i
più curiosi, quelli che amano passare la giornata in giro per la città, fra la
gente, sui lungarni e nelle piazze, a caccia di un boccone o di una compagna da
amare.
Alcuni, addirittura, si mettono a cantare e a scrivere canzoni. E
finisce che, dopo la provincia pisana, tutta l’Italia li scopra come un vero e
proprio fenomeno della canzone d’autore contemporanea. Altro che “roba da gatti
mézzi”, come si dice a Pisa per riferirsi a cose miserabili, ormai alla frutta:
Tommaso Novi e Francesco Bottai, i gattacci
in questione, hanno già all’attivo cinque dischi, tournée in tutta Italia e
all’estero, la vittoria del Premio Ciampi nel 2007, la vittoria assoluta al festival Barezzi Live 2009 e
l’approdo in finale al Premio Tenco 2013. Non ultimo, soprattutto, l’affetto di
un pubblico sempre più numeroso e affiatato che li segue a ogni concerto,
l’occasione più indicata per conoscere la loro musica e il loro mondo; quelle
esibizioni dal vivo, cioè, dove anche lo spazio fra un brano e l’altro è un
vero e proprio tuffo nella provincia toscana.
A breve, per la
prima volta in assoluto, la musica dei Gatti
Mézzi sbarcherà in Puglia. Sarà un vero e proprio incontro di mondi: come
accoglierà, la terra delle orecchiette e della pizzica, questi due toscanacci d’eccezione? Val la pena di
prepararsi. A poco più di due settimane dal loro arrivo, allora, a nome di
tutti i pugliesi mi faccio ambasciatore e li incontro.
Partiamo da una curiosità
apparentemente scontata: ma quand’è che
nascono i Gatti Mézzi? Dico, come vi
siete incontrati e quando vi è venuto in mente di iniziare questa avventura?
I Gatti Mézzi nascono per caso – mi risponde subito Francesco Bottai con un sorriso. Nascono nel 2005 quando io e Tommaso ci sentimmo per mettere due accordi sopra dei sonetti che
avevamo scritto qualche tempo prima. Si trattava di testi nati per
scherzo, nel solco della tradizione dei sonetti immortali del grande Renato Fucini,
tutti rigorosamente in vernacolo pisano. Da allora ci dedichiamo solo a questo, oltre
all'insegnamento da parte di Tommaso e all'acquerello da parte mia.
A proposito del vernacolo
pisano, la prima cosa che si nota ascoltando un vostro disco, naturalmente, è
che i testi di molte canzoni sono pieni zeppi di forme linguistiche toscane. Da
dove arriva questa scelta, non certo scontata?
In realtà non fu una scelta vera e
propria. E’ stato, come dire, il naturale sbocco della nostra passione per l’idioma locale, l'amore per un
territorio con un'identità relativa: la Pisa dell'università e dell'aeroporto,
una città ibridata ma con una fortissima tradizione politica e popolare.
Ma questa veste linguistica che
conseguenze ha? Voglio dire, cosa aggiunge alle vostre canzoni, ma anche cosa
toglie?
Il dialetto è un po' una lingua
senza letteratura e direi che aggiunge naturalezza e spontaneità al tutto.
Toglie un po' di comprensibilità all'esterno,
è vero, ma identifica molto. In ogni caso, non ne siamo schiavi. L'ultimo album, “Vestiti leggeri”, è
molto più italiano che dialettale. Può essere che il prossimo album sia tutto
in italiano, chissà…
Allora divertiamoci un po’
con questo pisano, nel senso che i poveri pugliesi vanno avvisati di quello a
cui vanno incontro (dico ironico): che ne dite di scrivere una specie di Glossario pisano alle cime di rapa? Un
elenco di parole essenziali da spiegare ai pugliesi per capire il mondo dei Gatti
Mézzi...
(risata) Sì è vero, qualche dritta bisogna pur
darla ai nostri amici pugliesi, senza svelare troppo, naturalmente. Anche
perché in qualche modo sarebbe impossibile, nel senso che le nostre parole
fanno parte di un mondo di parole intraducibili. Le scegliamo una per una e
ognuna di loro ha un suono, una fisicità insostituibile, come nei testi della
poesia o della letteratura nel mondo orientale, dove addirittura l’intonazione
modifica i significati.
Per
esempio, parole come labbrata o stiaffo, l’equivalente dello schiaffo italiano, hanno più o meno lo stesso significato,
è vero, ma portano dentro sé un mondo, un evento specifico, un gesto diverso...un
dolore, addirittura, diverso!
O,
per dirti, se voglio dire che nella vita sono i momenti difficili che fanno la
differenza fra uomo e uomo, a Pisa si dice “Il barbiere si vede dalla curva”:
la curva è quella della mascella quando ti fai la barba, per dire che se uno è
forte lo riconosci nelle difficoltà. Ma, ovviamente, al di là del significato
in sé, il detto tira in ballo il mondo delle botteghe dei barbieri toscani,
della loro arte in mezzo alle chiacchiere dei clienti. Oppure, allo stesso
modo, altri detti si rifanno all’ipocrisia delle comunità dei piccoli paesi di
provincia, in cui si dice “Fatti un bel nome, pisciati a letto e diranno che
hai sudato”, che significa che ti si perdona tutto se sei una persona conosciuta.
O, ancora, “Dici bene, come hai detto?” e “Benvenuto, ci mancavi...se ‘un
venivi non importavi”, per descrivere la doppia faccia di certa gente,
soprattutto dei falsi amici presenti nell’universo chiuso dei bar.
Quegli stessi bar dove però nascono tanti
personaggi e miti di paese che sono presenti nelle vostre canzoni? Dico bene?
Sì è vero. Ma bisogna fare attenzione, ci
sono due tipi di bar: quelli intesi come circolo ricreativo, in cui
l’esperienza degli anziani viene trasmessa alle giovani generazioni, quell’ambiente
in cui si crea la mitologia della comunità a partire dalle storie di paese. E
poi c’è il bar vissuto come cricca chiusa, una comunità della perdizione, dove
c’è l’annacquamento delle passioni con gli interessi.
E
poi, tornando ai detti, c’è n’è un milione! Ormai mi hai scatenato: “Se volevo morì, ingollavo un ombrello aperto”,
per dire che se volevo mettermi nei guai lo facevo da solo. E se vogliamo
parlare di singole parole, se volete un piccolo dizionario istantaneo, mi vengono
subito in mente Fortori per “bruciori
di stomaco”, Poponi per
meloni, Ragni per
spigole, Sciagattare per
spaccare, Vì per
qui, il nostro intercalare/esclamazione Boia!, Sortire per uscire...e
molte altre cose che sveleremo durante il live!
Va benissimo così! Ma ancora a
proposito delle cose essenziali da sapere sui pisani: ci fate capire meglio la
differenza fra pisani e livornesi, eterni rivali?
Certo! Il livornese
è un miscuglio di pisano ed ebraico –
continua Francesco, riferendosi alla nascita di Livorno a fine ‘400, popolata
soprattutto da ebrei sefarditi in fuga dalla Spagna - con poca storia, quindi fresco, irriverente…ma anche un po' ignorantello!
- aggiunge, mentre gli scappa una risata sotto i baffi (proprio
quelli veri, dico, i suoi!). Sono molto boriosi e autocelebrativi, anche.
E invece dei pisani cosa possiamo dire?
I pisani sono più diffidenti e per
questo paradossalmente più isolani. Ma come gli isolani se ti aprono la porta di casa è per
sempre!
Veniamo all’ultimo disco “Vestiti leggeri” che, naturalmente, sarà
molto presente nei vostri prossimi concerti qui da noi.
Il
titolo, come avete spiegato in tante interviste, «E’ una metafora per
dire che in questo album ci siamo denudati, svelati, per proporre in maniera
nuova ed originale al pubblico l’universo di Francesco e Tommaso»
In effetti, dentro c’è gran parte del vostro mondo artistico e personale: da Piscio ar muro, che credo sia una canzone-manifesto de I Gatti Mézzi, dato che il muro citato si trova forse in un uno dei vicoli di Pisa dove i gatti si mézzano di varia umanità (Meglio il piscio der gasolio/viva ‘r puzzo di cristiano); c’è Pisa e la provincia pisana (Marina, Ti c’ho beccato); c’è lo sguardo disincantato sull’amore (L’amore ‘un lo faccio più, Lacrima meccanica, Noi). Ma c’è anche l’Amore con l’A maiuscola: quello fra padri (babbi!) e figli (Furio su ‘na ròta, Pepe, Soltanto i tuoi Baffi) e il Delirio della vita adulta, delle responsabilità e dell’abbandono dei sogni di gioventù (Fame). Insomma, vestiti leggeri...ma non troppo, che ne dite?
(risata) Bè,
di certo è un dischetto importante per noi...è un po' la fine e l'inizio di un percorso: c'è la
summa della nostra grammatica musicale che vede partecipare tanti musicisti e
che corona il nostro universo stilistico. Allo stesso tempo è l'inizio di una poetica più
intimista e personale. C'è la sintesi dei nostri ascolti recenti e la speranza
di riuscire a esternarli rifiltrati in modo personale.
E, oltre alla vostra vita artistica, c’è
anche un bel pezzo di quella privata, della vostra vita attuale, giusto?
Certamente...C'è
l'amore e lo spaesamento per questi bimbi esagerati –
aggiunge Francesco riferendosi a sua figlia Bianca e al piccolo Furio di
Tommaso - che
c'hanno stravolto la vita, le aspettative e il punto di vista sulle cose. E poi ci
siamo noi, che siamo du' òmini di 35 anni che fanno le cose che gli pacciono!
Siamo concentrati sui concerti in giro per
l’Italia e la tanta gente che s’incontra, con grande piacere. Poi c'è in cantiere un disco live, stiamo raccogliendo materiale
proprio in questo periodo. Vedrà la
partecipazione di ospiti speciali...non vogliamo svelare troppo!
Di certo, una mèta sicura
l’avete: vi aspettiamo in Puglia a fine aprile...ci siete mai stati, in solitaria
o a suonare insieme? Come vi sentite in attesa di questo appuntamento?
Siamo davvero felici! La Magna
Grecia, la Toscana del Sud...la
sentiamo come una regione affine. Ci dà una sensazione di dolcezza materna, un Sud
lontano dagli stereotipi tradizionali. Ci piglia
davvero bene. E poi si mangia d'incanto e la
gente è ganza!
Mentre vi aspettiamo, ci suggerite
tre canzoni da ascoltare in vostra attesa? Diciamo, per fare due compiti a
casa...
Direi Soltanto i
tuoi baffi, che è un pezzo che rappresenta una cesura tra il nostro modo
attuale di sentire la canzone e quello precedente. E’ una specie di salto verso
qualcosa di diverso, né meglio né peggio dico, ma è come se avessimo aperto una
finestra su un nostro modo nuovo di scrivere. Ancora dal nostro ultimo disco, Noi, che è il testamento di una serie di suggestioni
che abbiamo utilizzato in passato. E poi sicuramente
Portami a pescare, che rivela il modo di sentire il mare di noi toscani,
un misto di nostalgia condito con grandissima ironia.
Perfetto allora, iniziamo a prepararci e vi
aspettiamo impazienti...
Bimbi fatevi vivi che vi si fa
stà' bene. E portateci una tegamata d'orecchiette!
Agostino Bimbo - Liolà Eventi
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